Mario Geniola visto da Bruno Simoncelli

Crediamo che molti fotografi, ora in possesso di uno stile personale, di un mondo espressivo da poter autorevolmente proporre una riflessione e una analisi estetica, abbiano sempre guardato ai fotografi americani come a modelli supremi nei quali trovavano una sintesi esaltante di bellezza fotografica, di raffinatezza, di gusto.

Non solo per il risultato estetico in sé, ma per quello che le immagini fotografiche, implicavano,nella concezione ideale,nella evidente critica ad un costume, nella capacità di evocare vivaci momenti dialettici.

E’ noto che dalla “Scuola californiana”, nata attorno alla rivista “Aperture”, sono nati talenti che si sono imposti in tutti i circuiti culturali: Edward e Brett Weston, Ansel Adams, Minoe White, Henry Callaghan, mentre dalla “Scuola di New York”, quella delle riviste “Vogue” e “Harper’s Bazaar”, sono balzate alla ribalta personalità quali Richard Avedon e Irving Penn, solo per citarne i massimi esponenti.

Per anni Mario Geniola ha guardato con amore all’opera di questi maestri dell’obiettivo, prima di darsi d’embleè, al difficile binomio arte- mestiere della fotografia. E non c’è che da rallegrarsene: niente nasce solitario sotto il cielo. Figuriamoci sotto il cielo così mutevole e primaverile della camera oscura!

Dai “fotografi col cavalletto” dell’ovest ha colto le mutevoli figurazioni della natura, quelle disposizioni che compongono suggestivi effetti di masse, equilibri di forme, tonalità delicate, architetture del disegno dell’immagine.
Dai “cittadini” di Manhattan ha appreso le professionalità delle fotografie di interno: un modello di stile basato sulla posa, sulla predilezione per le luci naturali e i fondali anonimi, su un modo volutamente semplice e tuttavia sofisticato di comporre volti e oggetti di uso comune.

Tali influenze non hanno affatto fiaccato l’inventiva di Geniola.
Sembra evidente che Geniola è alla ricerca della fotografia perfetta; e fotografia perfetta non significa riproduzione pedissequa, ma decantazione della visione, riduzione all’essenza. Quello che interessa è dominare forme, disposizioni, ritmi, contrasti. Sensibilizzare e soggettivare tutto quanto è materia di attenzione.

Mario Geniola partecipa raramente ai concorsi fotografici e alle discussioni in seno a questo e al quel gruppo amatoriale. Nel suo “ritiro” di Frisa ascolta, appartato, molta buona musica, piacevole ausilio alla creatività, dono che porta a trasformare in visioni estetiche oggetti senza estetica. Accetta, con orgoglio, di essere chiamato, semplicemente, fotografo. Questa professione, come scriveva Susan Sontag, che “merita attenzione e rispetto, pari a quella concessa alla pittura, alla letteratura, alla musica e all’architettura.

Bruno Simoncelli